racconto breve

iN-sENSO n°1

Avevo perso la mia unghia preferita in fondo al mare, era un giorno di primavera e nevicavano meteoriti. Il fuoco si riattizzava toccando la rugiada e il respiro si faceva sinfonia: la luce ritmica ruggiva un nuovo spartito, ma furono i colori a dare vita a questo esilio. Non si contano i primi respiri dei computer, non c’è evenienza né accettazione. Il cuore pulsante giaceva lì con la mia amata unghia, mentre il fuoco di neve imponeva nuovi colori sconosciuti. Così ricordo da questo oblò lo scorgere il tuo ultimo ciuffo di capelli disperdersi nel deserto. Ma il silenzio cozza con il ricordo, l’odore è denaro e non c’è giustizia, c’è solo l’addio a dare sostanza a questa tavolozza impossibile. Come un fulmine la saliva risaliva, elettrizzando gli ultimi brandelli di stracci di sentimento. Un patchwork riuscito male, il solo pensiero al quale aggrapparsi, con la consapevolezza di avere male interpretato la nuova prospettiva. Persi un’unghia e il ciuffo in quello spazio-tempo, inghiottiti dal rumore desertico del fuoco. Ma ridevo fino a smaterializzarmi al pensiero che la gravità era innocua in fronte al dispotismo dei nuovi colori impossibili. Mi rincuorava il pensiero che altri pianeti roteavano tra il soffitto della mia stanza in fondo al mare. E, raggiunta la cima, sono la gravità miope che si è liberata del pensiero. La pena e la compassione non si vendono al mercato, non hanno prezzo. Il vero affare è l’idiozia. Questo sento mentre attraverso il nuovo incubo a colori. D’un tratto la civetta mi sussurra all’orecchio, con voce antica, che solo chi sa ascoltare la luce può odorare l’origine. Io ho solo imparato a mangiare aria e vomitare tempeste. Ma la mia unghia preferita ha deciso di morire. Sorrido, piangendo, con denti vermigli e orecchie di pioggia. Non chiudere l’anima, mi dico, apri il tuo corpo. La saracinesca è purgatorio e finiscila di pestarmi stupida grazia! Lascia che il grasso degli angeli coli dal basso, che le fiaccole di ghiaccio lacerino le nuove tavolozze nell’esplosione verde asfissiante. Comparse gravitazionali sporche di vernice ossidata. La ruggine pettina i capelli della civetta neofita. Si dirà che non erano queste le ore “ics”. Ma giuro di aver visto la mia unghia soffocarsi d’overdose di nero. Su il sipario: è ora di morire: stappate i vulcani, allargate gli orifizi. La gravità ha soffocato il tempo. Il vento si è scordato l’immagine del mondo. Dio è giallo fosforescente, come la cravatta di un idiota. L’appeso fluttua in assenza del peso, saranno i nuovi padroni a ricondurlo alla forca: MAI FIDARSI DEI COLORI.